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Incontro con VILGOT SJÖMAN

(da: Cinemasessanta, n.4, luglio/agosto 2001)

Vincenzo Esposito: Ringraziamo Vilgot Sjöman per la sua presenza, e ovviamente ringraziamo anche tutti quelli che hanno reso possibile questo evento, in particolare la Biblioteca del cinema Umberto Barbaro, la Federazione Italiana Circoli del Cinema e le tre ambasciate di Norvegia, Svezia e Danimarca.
Ho letto non molto tempo fa, su quella che è attualmente la più importante rivista di cinema in Svezia, il cui nome è semplicemente Cinema, un piccolo dossier redatto dai collaboratori di questa pubblicazione.
La stessa domanda veniva rivolta a diversi registi svedesi, contemporanei e non, tra cui Lukas Moodysson, a esempio, e ovviamente a Vilgot Sjöman. La domanda era questa: "Quando farai il tuo primo film 'Dogma'?" La risposta di Vilgot Sjöman al giornalista che lo aveva interpellato è stata fulminante: forse lei non se ne è accorto, ma io un film del genere lo ho realizzato nel 1967, cioè un bel po' di tempo fa. In realtà, questo film, Sono curiosa - giallo, avrebbe anche qualcosa da insegnare alla nuova ondata di registi danesi che hanno aderito a "Dogma". Secondo me, la risposta di Sjöman fu in quella occasione molto opportuna, avendo lui sottolineato come la realizzazione di un certo tipo di film fosse avvenuta in un'epoca in cui tutto ciò aveva ancora un senso. Dietro tale realizzazione si scorge un progetto culturale di tutt'altro respiro, rispetto a quanto proposto dai registi danesi contemporanei cui abbiamo fatto cenno. Quindi vorrei chiedere direttamente a Vilgot Sjöman quanto il suo film risulti ancora attuale, e quanto abbia ancora da dire e da insegnare alle nuove generazioni di registi.

Vilgot Sjöman - Non vorrei passare per una persona che pretenda di dare l'esempio, quindi eviterò il più possibile riferimenti ai registi di Dogma. Quanto all'attualità del mio film, occorre ritornare con la memoria all'epoca in cui il film venne realizzato. Ricordo che in quel momento la Svezia mi appariva come una serra, un terreno particolarmente adatto per esperimenti di questo genere. Poi è successo che la serra è andata in frantumi, e tutto il mondo che era all'esterno si è riversato dentro. Possiamo chiamarla globalizzazione. Però, una giovane ragazza come la Lena Nyman del film vivrebbe oggi situazioni analoghe. Il problema che emerge dal film, la mia innocenza dal punto di vista politico, può invece presentarsi in una veste curiosa, considerando poi che mio padre era un operaio edile. È quasi scandaloso, che cosa si può pensare del figlio di questo operaio che si chiude in una torre d'avorio, sia riguardo alla religione che alla politica? Quindi il mio è anche un film su come si può perdere questa innocenza; così, non solo la ragazza, ma anche il regista si ritrova, come lei, a perdere la verginità. Si può aggiungere che per cercare di risolvere i miei problemi personali, avevo iniziato l'analisi freudiana; l'ho praticata per sei anni e questo film è stato girato durante il terzo anno di analisi. Avevo avuto in precedenza duri conflitti con la censura svedese per un film che si intitola 491. Durante l'analisi, ho capito che i censori agivano nel mio cuore, non fuori, nella società. Quindi, la realizzazione del mio film successivo rappresenta bene la lotta con i miei censori interiori.

Uno spettatore: Durante alcuni miei viaggi in Scandinavia, e in particolare in Svezia e in Finlandia, ho potuto notare un certo tipo di conflittualità. Specialmente in Finlandia, ho ravvisato qualche ostilità tra il gruppo di lingua svedese e i finlandesi, nonché tra questi e il popolo lappone, i Sami. Questo mi ha un po' sorpreso, perché, conoscendo la tradizione socialdemocratica di questi Stati, pensavo che tali rivalità si fossero col tempo attenuate. Lei ritiene che queste situazioni nel Nord Europa possano portare a sviluppi particolarmente negativi?

Vilgot Sjöman: Evidentemente, pur volendo mettere dentro il mio film tutto il possibile, alcune problematiche sono rimaste ai margini. Riprendendo la metafora della serra con la quale mi sono riferito alla Svezia, è utile ricordare lo sforzo continuo della socialdemocrazia di operare per un livellamento che riguardasse le classi sociali e l'economia. Durante la buona congiuntura economica degli anni Sessanta, questo poneva solide basi per il nostro lavoro, ma spesso non ce ne rendevano conto. Io ho avuto anche finanziamenti statali per poter girare questo film. Poi, come ho già detto, gli scenari internazionali hanno favorito la demolizione di questa serra, di questo sistema. Così oggi si registra un'inversione di tendenza, e la differenza tra le classi sociali risulta ora più accentuata rispetto agli anni Sessanta. Le modificazioni in atto nella società svedese, una società che ha visto aumentare notevolmente il flusso immigratorio da altri paesi negli ultimi anni, hanno portato poi all'incremento di un certo tipo di conflittualità di classe, ma anche etnica. Mi hanno addirittura chiesto perché non ripeto l'esperimento di un film come Sono curiosa - giallo per raccontare la società attuale. Penso che non ne avrei il coraggio, perché abbiamo ora molti più tabù di quanti ne avevamo allora. In quel periodo i tabù sessuali erano di gran lunga i più importanti. Oggi sono i tabù politici ad avere un enorme rilievo.

Vincenzo Esposito: Lei prima ha parlato di censura, e successivamente ha aggiunto di aver comunque ricevuto finanziamenti per il suo film dal Film Institutet, cioè dallo Stato. In realtà, una legge varata in Svezia tra il 1963 e il 1964 incoraggiava quello che veniva definito il cinema di qualità. Un'intera generazione di nuovi registi, tra cui Bo Widerberg, Kjell Grede e lo stesso Vilgot Sjöman, poté emergere anche per merito di questa legge, grazie alla quale una parte sostanziale degli incassi nelle sale veniva reinvestita per sostenere il cinema di qualità. Quindi, da una parte il Film Institutet incoraggiava in qualche modo i giovani registi a portare avanti questo tipo di cinema, dall'altra bisognava considerare di volta in volta il ruolo della censura. Per quanto riguarda Sono curiosa - giallo, la versione che abbiamo riproposto corrisponde alla versione integrale che all'epoca uscì in Svezia, poiché la censura locale in questo caso non intervenne. In compenso in altri paesi, come l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la stessa Italia, parecchi minuti vennero tagliati rispetto all'originale, e in America subentrarono addirittura problemi giudiziari. Considerando le diverse situazioni, possiamo dire che in Svezia non si stava poi così male?

Vilgot Sjöman: Il film ha passato la censura svedese e quella danese, mentre al contrario negli Stati Uniti c'era un editore che voleva combattere la censura statunitense, e questo portò a un processo. È stato un momento importante della mia vita, quando ho dovuto presentarmi di fronte a un tribunale, a New York. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha avuto grossi problemi con il mio caso, che in definitiva era semplice. Possiamo immaginare la Corte Suprema degli Stati Uniti come nove scorpioni chiusi dentro una bottiglia. Per uno di loro, si profilò una questione di conflitto d'interessi. Così, si ritrovarono a combattere quattro scorpioni contro quattro scorpioni, e in una situazione di parità nel giudizio finale si finisce col perdere. Malgrado tutto questo, il fim ha potuto circolare in diversi luoghi degli Stati Uniti. Questa storia è sintomatica del tipo di problemi che il film ebbe in molti paesi, dove la censura intervenne pesantemente compromettendo l'integrità dell'opera. Appena s'intravedeva il pelo pubico della protagonista, i censori tagliavano la scena. Dobbiamo anche aggiungere che quasi tutti i censori nel mondo sono uomini; così l'organo maschile è sacro, e diventa molto difficile che lo si lasci mostrare in un film. Per me rimane un mistero il fatto che il film possa essere così conosciuto all'estero, considerando il tipo di ostacoli e di manomissioni che la pellicola ha dovuto subire.

Uno spettatore: Sono rimasto colpito dallo stile del film, uno stile molto denso, innovativo, che riesce a fondere insieme elementi come l'inchiesta, il metacinema e altri ancora. Mi piacerebbe sapere qualcosa da lei sulle scelte stilistiche presenti nel film, e specialmente su quelle legate al sonoro e alle musiche.

Vilgot Sjöman: Sono stato allievo di Ingmar Bergman, l'ho conosciuto quando io avevo diciassette anni e lui ne aveva ventitrè; fra noi vi è quindi un'amicizia di vecchia data. È da lui che ho imparato come si scrivono le sceneggiature. In seguito, ho anche fatto un film vicino allo spirito di Bergman, un film che si intitola Syskonbädd (Il letto della sorella). Successivamente, ho sentito il bisogno di staccarmi dal mio maestro, essendosi orientato il mio interesse creativo su percorsi differenti, come quello del film-inchiesta. Inoltre, ero molto interessato al documentario, e anche questo mi ha allontanato dai modelli di cinema offerti da Bergman. Originariamente, io sono uno scrittore; ho scritto anche diversi romanzi, e al momento di cominciare a scrivere sceneggiature cinematografiche, imparando da Bergman, ho constatato questo: quando si scrive una sceneggiatura, si tende a censurare sé stessi, a controllarsi e a controllare troppo. La mia esperienza in analisi, grazie alla quale ho appreso la lezione delle libere associazioni, mi ha portato invece a cercare l'improvvisazione, un modo per sfuggire alla propria censura interiore. Le scene d'amore di Sono curiosa - giallo non avrebbero mai potuto essere come le avete viste, se le avessi scritte prima. Grazie all'improvvisazione, e grazie a questi attori, sono riuscito a rimuovere molte difficoltà nel mio approccio a tali scene. Se poi queste scene non hanno recato danno all'immagine del ragazzo, Börje Ahlstedt, più complicata e rischiosa era la situazione della protagonista. Bastano un paio di critici in età senile per decretare che non sia conveniente per una ragazza come Lena Nyman, così bene in carne, mostrarsi completamente nuda di fronte alla m.d.p. Lena lo ha fatto anche per smentire queste opinioni pregiudiziali. Per rispondere più direttamente alla sua domanda, posso dire di aver cominciato da puritano rispetto alla musica. Inizialmente, non volevo che fosse presente nei miei film, tutto il mio interesse anzi era rivolto ai suoni, ai rumori, così come avviene nel mio primo film Älskarinnan (L'amante). Era un po' una ribellione rispetto a quei film che utilizzano la musica per coprire la debolezza di certi momenti. Poi nel corso degli anni sono un po' cambiato, e la musica è stata introdotta nei miei ultimi film.

Uno spettatore: Mi ha colpito molto la relazione tra l'indagine della società svedese del periodo e i rimandi alla situazione internazionale, più in particolare alla Spagna di Franco. Può dirci qualcosa di questo suo modo di guardare alla storia?

Vilgot Sjöman: Per rispondere dovrò parlare della mia vigliaccheria. Ho cominciato a pensare a questo film nel 1965, anno che coincide con l'entrata in guerra degli Stati Uniti in Vietnam. Avrei dovuto affrontare il problema, ovvero come i nostri giovani svedesi vedevano questa guerra. Ma io stesso non capivo che cosa stava succedendo; Olaf Palme, al contrario, ha capito subito la portata di quello che stava accadendo, diventando per la Svezia una figura eroica. Così ho preferito rifugiarmi su un avvenimento del passato, la guerra civile in Spagna. Per fortuna, è emerso che anche affrontando questo tema si potevano tirare fuori cose molto interessanti sulla mentalità svedese. Lena ripete a molti questa domanda: "Non vi vergognate ad andare in Spagna?" Quasi tutti manifestano indifferenza. Però l'ambasciatore della Spagna di Franco a Stoccolma non era indifferente, così è andato a protestare al ministero degli Esteri per le nostre offese. Naturalmente, dal ministero hanno risposto che in Svezia non c'erano queste forme di censura, e io potevo esprimere il mio pensiero politico liberamente. Adesso sto scrivendo un libro con le mie memorie, e per compiere alcune verifiche mi sono recato all'archivio del ministero degli Esteri; è stato affascinante immergermi nella lettura di questo curioso scambio di corrispondenza tra i diplomatici dei due paesi. Poi ho cercato di verificare alcuni limiti riguardanti la censura, come la possibilità di mettere in ridicolo la casa reale svedese, facendo altre interessanti scoperte.

Una spettatrice: Mi è sembrato che il regista/personaggio nel corso del film non sia tratteggiato in maniera molto positiva, ma rappresenti un discutibile modello di mascolinità. È forse l'autore che ripensa criticamente se stesso, il proprio ruolo?

Vilgot Sjöman: Effettivamente, la figura del regista mette in mostra un carattere orgoglioso, a tratti anche arrogante. Non potevo scegliere di rappresentarmi in un'altra maniera: anziché lodare sé stessi, è più salutare, più intelligente, autocriticarsi. Del resto, ho imparato nel corso della mia vita che con l'ironia si superano molti ostacoli, o almeno si strappa un sorriso. L'autoironia, d'altro canto, non trasforma una persona, e a volte quel fondo di presunzione ne esce rinvigorito.

Uno spettatore: Mi piace pensare il suo film come un grande alambicco dove sono mescolati l'amore per il cinema, l'amore per la politica, l'amore per il sesso, e allo stesso tempo tutte le contraddizioni, i contrasti e le necessarie sfumature. Vorrei sapere come si colloca il tema dell'amore e del suo contrario, l'assenza di amore, nel suo ultimo film , Alfred, dedicato a una vita consacrata alla scienza, quella di Alfred Nobel.

Vilgot Sjöman: Posso chiarire subito alcune cose su questo mio ultimo film, nel quale mi sono confrontato sia con la vita professionale che con quella privata di Alfred Nobel. Sono stato molto contento di aver girato Alfred, sebbene sia costato molto in termini di energia e anche in termini di denaro speso per la realizzazione. Non sono stato mai criticato tanto in vita mia, e nessuno voleva vedere il film. Gli svedesi si sono stancati di Alfred Nobel, dei tanti articoli che si è costretti a pubblicare ogni anno sui vincitori del premio. Il problema è che ci si è abituati a considerare lo scienziato svedese come un'icona; la sua personalità è stata semplificata, compressa, non essendo stato permesso di indagare sulla sua vita privata. Io ho fatto delle ricerche sul suo privato, trovando testimonianze di un affetto molto profondo, durato più di vent'anni, per una ragazza ebrea. Ricerche di questo genere richiedono però tempi molto lunghi, e a un certo punto il produttore mi ha esortato a sospendere le ricerche per passare direttamente alle riprese. Il film ripropone l'immagine standardizzata di Nobel, ma presenta alcuni elementi nuovi; si accenna a esempio alla storia della ragazza ebrea, della quale per me è stato particolarmente emozionante incontrare i parenti ancora in vita, trovare fotografie d'epoca e altre testimonianze di questo genere. Quindi, intendo finire le mie ricerche sullo scienziato svedese e raccoglierle in un libro, che spero possa uscire entro l'autunno prossimo.

Uno spettatore: A me interesserebbe sapere che tipo di reazione ha avuto il pubblico svedese di fronte a un film così provocatorio come Sono curiosa - giallo.

Vilgot Sjöman; È una buona domanda. Il film è andato molto bene nelle sale, perché tutti erano molto curiosi di vederlo. Però molti sono rimasti scioccati. Tra i miei stessi amici, certe persone il cui pensiero credevo fosse più libero mi hanno confessato il loro sconcerto. E poi l'estrema sinistra ha reagito con veemenza all'idea di questa miscela di politica e sesso. D'altra parte, ero convinto di aver fatto il primo film veramente di sinistra nella storia del cinema svedese, e pensavo sinceramente che lo avrebbero amato. Io ho un background religioso, quindi ho reagito inginocchiandomi di fronte ai miei amici di sinistra, chiedendo loro quali fossero le mie colpe. Adesso ci possiamo anche scherzare sopra, però tutti i miei film degli anni Settanta riflettono le conseguenze di questo trauma. En handfull kärlek (Una manciata d'amore) ha rappresentato il mio grande tentativo di rispondere alla sinistra. Ricordo ancora il titolo scelto per la distribuzione italiana: La corruzione di una famiglia svedese. Questo è il destino di molte pellicole: se ha un bel titolo nel paese d'origine, non è detto che il film ne conservi uno all'altezza nei paesi dove viene venduto, anzi il più delle volte trionfa il cattivo gusto. Tornando a quanto dicevo a proposito della politica, ho già detto che la mia posizione all'epoca era molto ingenua; pensavo che la sinistra fosse un movimento unitario, soltanto adesso mi sono reso conto della sua frammentazione. Alla fine degli anni Settanta, acquisite nuove consapevolezze, ho fatto un film che si chiama Tabù. Il film parla di un salvatore che si rivolge a persone dotate di qualche diversità dal punto di vista sessuale. Ho intervistato travestiti, e anche sadomasochisti. Il salvatore del mio film voleva unire tutti quelli che possiedono qualche perversione o diversità sessuale, ma il suo progetto fallisce. Vi è una sottile allegoria politica dietro tutto questo. I diversi gruppi che si sarebbero dovuti unire riflettono la situazione della sinistra. Nel 1978, quando il film uscì, la critica lo respinse decisamente. Negli anni Sessanta, in definitiva, si era più aperti sulle questioni di sesso, mentre negli anni Settanta si ritornò a una mentalità più chiusa, puritana.

Uno spettatore: Mi è sembrato di cogliere in Sono curiosa - giallo una particolare chiave di lettura: mi riferisco al valore socialmente eversivo di una rappresentazione esplicita dell'erotismo. Era proprio questa idea a guidarla, e se è così ritiene che sia valida ancora oggi? Ed oggi ritiene che il cinema sia completamente libero dal punto di vista della rappresentazione della sessualità?

Vilgot Sjöman: A volte mi sentivo come un boy scout nel voler rappresentare le scene di sesso evadendo dai clichés hollywoodiani. L'unico regista significativo che abbia fatto qualcosa che io apprezzo in questa direzione è Bernardo Bertolucci. Mi riferisco in particolare ad alcune scene di Novecento, che a mio avviso rappresentano bene fino a che punto si dovesse osare nel cinema. Erano cose di questo genere che dovevamo avere la libertà di poter fare. Invece, il sesso è rimasto per lo più segregato nell'ambito di un mercato pornografico sotterraneo, rivolto a un pubblico maschile di giovani e vecchi. Poi nel cinema commerciale si è sviluppato un erotismo di tipo boudoir, in film come Emmanuelle, o ci si è accontentati di scene decisamente convenzionali che hanno poco a che fare con la realtà sessuale. Certi grandi divi impegnati in scene di sesso sembrano più che altro bravi acrobati. Se prendi Michael Douglas e Sharon Stone insieme, può sembrare che siano nudi, ma in realtà non si vede niente, si ha l'impressione di qualcosa di totalmente artificiale. Il mio istinto di boy scout era totalmente sbagliato. Le leggi di Hollywood vanno in direzione contraria, esercitano una forma d'imperialismo.
Kubrick costituisce un caso interessante. Con Eyes wide shut ha realizzato un balletto erotico che sembra debba condurre a veder rappresentate alcune situazioni, le quali finiscono con l'essere puntualmente disattese. Per questo mantengo in merito grosse riserve.

Uno spettatore: Che cosa pensa del cinema svedese di oggi?

Vilgot Sjöman: Non si può porre una simile domanda a un regista che sta invecchiando. Si rischia di rivelare la propria gelosia nei confronti della nuova generazione, che, bene o male, ha la possibilità di fare film. Ho già detto di aver imparato questo lavoro da Ingmar Berman; lui non parlava mai di soldi o di produzione. Quando parlavamo dei nostri rispettivi film, parlavamo del loro valore, della loro riuscita, tralasciando il punto di vista economico. Bergman era fortunato, perché in tanti paesi trovava con facilità chi distribuisse i suoi film. Sotto l'aspetto commerciale, in quasi tutti i paesi, i film di Bergman risultavano in perdita. Ma i distributori erano ugualmente orgogliosi di aver fatto circolare un film del grande maestro, e questo dava loro lustro. Nessuno di noi altri registi svedesi poteva beneficiare di un simile trattamento. Io soltanto grazie alle polemiche relative al sesso presente nel film, di cui abbiamo parlato, sono riuscito a fare soldi. Grazie a questi guadagni, potevo girare altri film che volevo realizzare. Alla fine, i produttori si sono stancati dello scarso successo di pubblico che raccoglievo. Negli anni Sessanta potevo fare un film all'anno. Negli anni Settanta un film ogni due anni, o addirittura ogni tre. Negli anni Ottanta ho realizzato soltando due film, e negli anni Novanta appena uno. Attualmente, ho un altro progetto, ma temo che difficilmente arriveranno i soldi per realizzarlo. Fortunatamente, non mi dedico soltanto a questa attività, e come ho già detto sono anche scrittore. Quanto ai miei colleghi più giovani che operano nel cinema svedese, molti hanno tra i trenta e i quarant'anni; in qualche caso si tratta di donne, ma più spesso di uomini. Sono generalmente molto esperti dal punto di vista tecnico; sanno molte più cose di quante ne sapevo io quando ho iniziato a trentasette anni. Al momento di girare il loro primo film, sono vincolati da tre necessità: devono risultare graditi alla critica, devono piacere al pubblico, e devono mettersi in luce affinché possano realizzare il loro secondo film. È una situazione difficile per chi vuole iniziare. Quindi possiamo essere felici di un giovane che si chiama Lukas Moodysson che ha già fatto due film, pur avendo solo trentuno anni.

(L'incontro si è svolto al Palazzo delle Esposizioni di Roma, il 16 dicembre 2000, nel corso della rassegna, organizatta dalla Biblioteca "Umberto Barbaro", "Cinema Scandinavo 2000")

Traduzione simultanea dallo svedese: Urlika Moren Chimento

Trascrizione e sintesi
a cura di Stefano Coccia



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