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VEDERE IL CINEMA
Questioni di storia e di politica
Perché nacque Cinemasessanta ? La maggior parte
dei fondatori nel 1959 già scriveva di cinema su tribune
autorevoli: Argentieri sull' "Unità"; Chiaretti
era il critico cinematografico de "Il Paese"; Quaglietti
collaborava a numerose riviste. Ma tutti avevano bisogno di potersi
muovere su un piano superiore di libertà. Non volevano quegli
impedimenti, chiusure, precauzioni, autocensure inevitabili in giornali
o riviste ufficiali. C'era l'intenzione di smuovere le acque ed
era quindi necessaria una vetrina, uno spazio dove poter essere
coerenti fino in fondo. Nessuno, in verità, si sentiva imbavagliato,
ma tutti avevano bisogno di dar vita a una libera rivista di cinema,
avendo davanti un quadro in forte evoluzione: si assisteva, nei
sessanta e settanta, al risveglio di numerose cinematografie. Oltre
alla Nouvelle vague in Francia, al Free cinema in Gran Bretagna,
al New American Cinema e al Nuovo cinema Brasiliano, all'Underground
degli Stati Uniti, al cinema polacco, ungherese, cecoslovacco e
sovietico all'est, c'erano segnali importanti anche in Italia, dove
fino alla fine della seconda metà degli anni cinquanta si
era prodotta una stagnazione. Nel 1959, al Festival di Venezia aveva
vinto Il generale della Rovere di Rossellini e nella stessa sede
fu premiato La grande guerra di Monicelli: la stampa era elettrizzata,
ma i più accorti fiutavano il pericolo che dilagasse un equivoco
culturale, cioè che questi due film fossero scambiati per
qualcosa di molto vicino al neorealismo del dopoguerra, quello di
Sciuscià di De Sica o di La terra trema di Visconti.
Si intuiva, e lo intuiva con molta sensibilità il gruppo
promotore di Cinemasessanta, che il recupero di certi elementi formali,
di motivi e tecniche nel neorealismo stava avvenendo all'interno
dei canoni del cinema industriale. Si configurava un nuovo prodotto,
un diverso tipo di merce industriale, con molti accorgimenti e furberie:
per certi versi era lecito salutarlo con favore, ma per altri era
evidente che non annoverava i valori poetici e l'audacia espressiva
del fenomeno originario. Non interessava come modello. Questo è
il movimento di pensiero che segnò il nascere e i primi anni
di vita della rivista, da ricollocare, naturalmente, in una visione
storica: ma molti degli spunti di allora hanno validità ancora
oggi.
Torniamo ancora agli anni sessanta: l'industria cinematografica
italiana era in vigorosa ripresa anche sul piano qualitativo. Cinemasessanta
voleva batteri per contribuire a ottenere spazi liberi, per un tipo
di elaborazione creativa non necessariamente compatibile con le
leggi del mercato. Spina dorsale della rivista non era, e non è
ancora oggi, l'identificazione in una poetica o in alcuni autori
(il dibattito è aperto), ma una battaglia per la conquista
di gradi sempre maggiori di libertà, per la creazione di
strutture, leggi, condizioni materiali e culturali che permettessero
di fare quello che l'industria non consentiva, se non in via ultrastraordinaria.
La liberalità più assoluta di Cinemasessanta ha sempre
fatto sì che la rivista non potesse essere considerata di
"tendenza", nell'accezione corrente del termine.
Questioni di teoria e di metodo
Ci sono, all'interno di Cinemasessanta, alcuni punti
fermi e irrinunciabili. La sovranità della fantasia, lo sguardo
critico sul mondo, l'innovazione del linguaggio, la profondità
degli angoli prospettici, l'ancoraggio alla ragione, la pacatezza
della valutazione, l'idiosincrasia per la perentorietà, per
i toni esclamativi ed enfatici, per il manicheismo, per le facili
infatuazioni, per la cinefilia obnubilata da propensioni emotive,
appartengono allo stile della rivista, ad un suo modo di porsi davanti
al cinema.
Nata per iniziativa di critici di formazione marxista, la rivista
è sempre stata ed è tuttora nutrita da apporti culturali
molteplici; ha avuto una sua trasversalità, è stata
ed è una perenne tavola rotonda, intorno a cui si confrontano
critici di diversa estrazione ideologica, culturale e politica:
marxisti e laici, cattolici e radicali, socialisti e post comunisti
che hanno un denominatore comune nella opposizione a quella che
Jack Lang, l'ex ministro francese della cultura ha definito, con
espressione felice: "la colonizzazione dell'animo umano da
parte del sistema commerciale mondializzato e, in particolare, la
vampirizzazione insidiosa degli spiriti dei giovani, da parte della
filosofia del vuoto."
Da un nostro lettore non si pretende che accetti tutto quello che
è scritto su Cinemasessanta, ma gli si chiede che, di volta
in volta, misuri il grado di intelligenza riposta nella nostra lettura
critica del fenomeno cinematografico e audiovisivo in genere, per
stabilire se i nostri approcci, i nostri termini di confronto sono
o no necessari al fine di accrescere i corredi culturali, di cui
il cinema e la comunicazione audiovisiva abbisognano per non cristallizzarsi.
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